In Inghilterra con Jane Austen e breve presentazione Giuseppe Ierolli

L’8 settembre è il giorno dell’uscita del nuovo libro di Giuseppe Ierolli, uno dei maggiori conoscitori della scrittrice inglese in Italia. Giuseppe Ierolli è infatti uno dei cinque fondatori della Jane Austen Society of Italy (JASIT), scritto una biografia di Jane Austen per Utelibri e tradotto diverse opere della stessa autrice pubblicate dalla casa editrice Elliot e da L’Espresso. In Inghilterra con Jane Austen è un viaggio appassionante tra i luoghi attraversati dalla scrittrice e un’occasione unica per rivivere il suo percorso letterario. Attraverso questa intervista che qui vi proponiamo l’autore ci racconta di più sul procedimento di ricerca che lo ha portato alla stesura del libro e ci consegna il suo punto di vista sulle opere, i personaggi e gli aspetti più interessanti della vita della scrittrice.


Hai tradotto moltissime opere di Jane Austen oltre ad aver scritto una biografia che ricostruisce la sua vita, sei membro del consiglio direttivo della “Jane Austen Society of Italy”, probabilmente la conosci meglio di chiunque altro. Qual è l’aspetto di Jane Austen che ti colpisce di più?

La libertà della sua mente, in un periodo in cui la vita delle donne era fortemente limitata da regole e convenzioni che ne limitavano moltissimo la libertà di azione e di pensiero. Ma questa non è una caratteristica solo sua: quello che colpisce ancora di più è la sua capacità di non ripudiare esplicitamente il tempo e l’ambiente in cui viveva, ma di portare alla luce le assurdità e le incongruenze di quelle convenzioni attraverso uno stile narrativo che usa molto spesso l’ironia e la sottile arte di far emergere ciò che si cela dietro conversazioni apparentemente banali e convenzionali. Non a caso Tomasi di Lampedusa scrive, nella sua “Letteratura inglese”, che Jane Austen “è uno di quegli scrittori che richiedono di esser letti attentamente: un attimo di distrazione può fra trascurare una frase che ha un’importanza primaria: arte di sfumature, arte ambigua sotto l’apparente semplicità.”

Poi ci sono naturalmente gli aspetti più “tecnici” della sua scrittura, e, tra i tanti, che potrei citare, ciò che forse risulta più evidente è la naturalezza con la quale ci fa conoscere i suoi personaggi senza quasi mai dirci qualcosa di loro, ma facendone emergere il carattere e i sentimenti attraverso conversazioni in cui sono impegnati personalmente o in cui si parla di loro, ovvero nel modo in cui noi stessi, nella normale vita di tutti i giorni, conosciamo gli altri: parlandoci e sentendo parlare di loro.

Non si può poi non citare l’assoluta novità dei suoi personaggi femminili, che diventano il motore della vicenda narrativa e non più le vittime, o comunque i soggetti passivi della storia. E questo accada in ogni situazione, sia nelle caratterizzazioni positive, per esempio Elizabeth Bennet o Fanny Price, che si permettono di rifiutare degli ottimi partiti, sia in quelle negative, come la fantastica abilità di Fanny Ferrars nel convincere il marito a non cedere nulla alla matrigna e alle sorellastre, in uno dei più bei capitoli mai scritti dall’autrice.

Come si è svolto il tuo procedimento di ricerca e ricostruzione dell’itinerario di Jane Austen in Inghilterra?

Ho utilizzato prevalentemente i ricordi e le suggestioni dei miei numerosi viaggi nei luoghi austeniani, nei quali ho seguito i suoi spostamenti cercando anche di capire quanto quei luoghi abbiano influenzato un’autrice che nelle sue opere non è mai andata oltre le zone dell’Inghilterra che conosceva direttamente, popolandole di personaggi tratti dagli ambienti sociali che frequentava.

Devo anche qualcosa a un libro la cui versione originale risale a più di un secolo fa (Jane Austen. Her Homes and Her Friends, 1902), nel quale una janeite di quei tempi, Constance Hill, riportò in una sorta di diario un suo viaggio austeniano, intrapreso insieme alla sorella Ellen, che si occupò di illustrarlo. Nel 2013 ho partecipato alla traduzione italiana del libro (Jane Austen. I luoghi e gli amici) insieme a Mara Barbuni, Silvia Ogier e Gabriella Parisi (socie fondatrici insieme a me della Jane Austen Society Of Italy), pubblicato dalla casa editrice Jo March.

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In questo libro riesci a farci immaginare meravigliosamente la scrittrice nei suoi luoghi e nel suo tempo, secondo te come mai i suoi personaggi e forme di sentimento tanto distanti da noi ci fanno ancora emozionare?

I motivi sono probabilmente molteplici. Uno può essere quello che ho citato prima, ovvero il modo “naturale” con il quale l’autrice ce li fa conoscere, un modo che li fa quasi allontanare dal semplice ruolo di “personaggi”, facendoli diventare “persone” e avvicinandoli alle nostre esperienze personali, pur essendo tanto distanti nel tempo. Chi di noi non ha mai conosciuto un Mister Collins, così pomposo e untuoso nei confronti di chi considera al di sopra di tutti? Chi non ha provato fastidio di fronte a persone reali che si comportano in modo così altero verso chi sta più in basso, diventando poi così umili verso chi sta più in alto, come il padre e la sorella maggiore di Anne Elliot? Come non riconoscere in molte coppie della vita reale le diverse sfumature delle coppie austeniane? Dalla simpatia dei Croft, alla coppia male assortita dei Bennet, dal comico rapporto marito-moglie dei Palmer a quello conflittuale tra Charles e Mary Musgrove?

Ma forse cercare dei motivi precisi e riferibili in modo preciso a Jane Austen è difficile. In fin dei conti in tutti i grandi classici, dai tragici greci in poi, ci sono personaggi e sentimenti lontani nel tempo ma vicini alla nostra percezione della realtà che ci circonda, anche perché i sentimenti profondi e intimi rimangono quasi inalterati, anche attraverso i grandi cambiamenti sociali che attraversano la storia. Quindi il perché in un certo autore accada questo dovrebbe restare in quello che potremmo chiamare il mistero della grande letteratura, riconoscibile ma difficile da decifrare e da descrivere.

Qual è il tuo personaggio preferito di Jane Austen, e perché?

Questa è una di quelle domande alle quali è molto difficile rispondere. Tutti i suoi personaggi sono interessanti e soprattutto funzionali alle vicende raccontate, anche quelli che di solito si chiamano secondari. Limitando il gioco alle eroine direi che quella che mi ha sempre interessato di più è Fanny Price, nel romanzo che sicuramente preferisco tra tutti: Mansfield Park. Perché? Per la sua apparente marginalità iniziale: una bambina sensibile e intelligente sradicata dal suo ambiente e inserita in un altro, sicuramente migliore dal punto di vista sociale ma estraneo e per molti aspetti respingente. Il suo percorso all’interno del romanzo però ne fa man mano il cardine principale delle vicende narrate, tanto da farla diventare quel “motore” di cui parlavo in precedenza, fino a una conclusione che la vede vittoriosa su tutta la linea, unica tra i personaggi del romanzo. Si tratta di un’eroina inusuale, che sembra non soggetta a cambiamenti interiori, a un processo di formazione che riguarda quasi tutte le altre eroine austeniane, ma che riesce a imporsi rimanendo sempre se stessa. E poi è un romanzo che, all’inizio dell’ultimo capitolo, contiene una frase che ritengo spieghi molto bene una delle caratteristiche della poetica austeniana: “Che altre penne si soffermino su colpe e miserie. Io abbandono questi odiosi argomenti non appena posso, impaziente di riportare tutti quelli non troppo colpevoli a un tollerabile grado di benessere, e di farla finita con tutto il resto.”

Jane-Austen-in-Inghilterra

Se potessi andare a cena con Miss Austen, dove la porteresti? E di cosa vorresti parlare con lei?

Di fronte alla possibilità di andare a cena con Jane Austen il dove non ha alcuna importanza. Il problema è di che cosa parlare con lei, a parte iniziare con notizie sul tempo, come si dovrebbe fare in ogni conversazione tipicamente inglese. Di tutte le curiosità che rimangono sulla sua vita sentimentale? Per esempio, chiederle se era davvero molto innamorata di Tom Lefroy; se Edward Bridges le ha davvero chiesto di sposarlo; che cosa è successo nella notte che divise il sì serale alla proposta di matrimonio di Harris Bigg-Wither al no mattutino.

Oppure lasciare da parte queste curiosità sulla sua vita personale e limitarsi al suo ruolo di scrittrice? In primis, capire che cosa è cambiato tra le prime stesure e le versioni definitive dei primi due romanzi pubblicati (Ragione e sentimento e Orgoglio e pregiudizio); non ne sappiamo nulla ed è un mistero che ha sempre incuriosito gli studiosi austeniani. E poi, ovviamente, molto altro,

O anche limitarsi a quei nonnulla dei quali fa cenno alla sorella Cassandra in una sua lettera, coltivando così quel gusto delle chiacchierate informali che emerge sempre nelle sue lettere.

Non saprei proprio che cosa scegliere, ma comunque nel caso vi terrò informati.