
- Biografia di Jan Carson
- L’epidemia in letteratura
- L’epidemia ne Il giorno del giudizio
- Hannah: le paure e i dubbi della protagonista
- Gli adulti di Ballylack
- Il ruolo della donna ne Il giorno del giudizio
- I temi principali
Il primo settembre del 2022 esce finalmente in Italia per Giulio Perrone Editore Il giorno del giudizio, il nuovo romanzo di Jan Carson, il cui titolo originale è The Raptures. L’uscita di questo libro è, anche e non solo per la sua collocazione temporale, rappresentativa e colma di significati per la casa editrice e ci auguriamo per i suoi lettori e le sue lettrici: rappresenta, da una parte, la consueta ripartenza annuale con quale si saluta l’estate e si dà il benvenuto a una nuova fase di progetti, uscite, incontri ed eventi, ma anche la prima espressione concreta di un desiderio divenuto realtà. Oggi, infatti, con questo articolo dedicato a Il giorno del giudizio e alle tematiche più care alla scrittrice irlandese viene inaugurata la nascita del blog della Giulio Perrone Editore. Si tratta di uno spazio in cui raccontare le nuove uscite, in cui parlare di festival, eventi, progetti editoriali e in cui riflettere sulle opere di autori e autrici del presente e del passato. In conclusione, lo scopo è quello di intrecciare una comunicazione ancor più stretta con nuovi lettori e le nuove lettrici e con coloro che da sempre seguono i nostri progetti.
Biografia di Jan Carson
Jan Carson è una scrittrice neoirlandese, originaria di Bellymena, il cui primo romanzo, Michael Orange Disappears, è uscito nel 2014. Ha pubblicato con Giulio Perrone Editore il suo secondo romanzo L’Incendiario, finalista Premio Strega Europeo 2020, con il quale ha anche ottenuto il Premio Letterario dell’Unione Europea.
I suoi lavori sono apparsi su numerose riviste e su BBC Radio 3 e 4 e nel 2016 ha vinto il concorso per racconti di Harper’s Bazaar. Jan Carson è specializzata nella realizzazione di progetti artistici ed eventi con persone anziane, in particolare con la demenza. Il giorno del giudizio è il suo terzo romanzo.
L’epidemia in letteratura
In letteratura, sono state spesso raccontate le conseguenze su individui e comunità derivanti dallo scoppio di pandemie: La peste di Albert Camus, Cecità di Josè Saramago e il più recente Anna di Niccolò Ammaniti ad esempio hanno descritto in modi diversi come una malattia che dilaga, una sofferenza che non risparmia nessuno e il panico conseguente possano avere risvolti sociali devastanti, portando intere comunità nel caos più totale o trascinando gli individui coinvolti in insensate lotte intestine.
Che effetti ha il dolore su una società? I/Le soggetti/e che la compongono sono disposti ad abbandonare qualsiasi divergenza per unirsi di fronte alla comune difficoltà? Nelle opere letterarie citate quel che emerge è che le comunità e chi le compone di fronte al dolore e all’inaspettato non cambino in meglio e talvolta nemmeno in peggio, esprimono semplicemente se stessi in quella condizione di estremo disagio. Le convinzioni, i valori e i pregiudizi per molti/e rimangono per lo più inalterati e tendono anzi a cementificarsi di fronte al nemico sconosciuto, diventando solide rocce invalicabili. Ma c’è anche chi decide di non uniformarsi, di porsi delle domande, di esprimere dei dubbi, chi insomma è disposto a chiedersi come stare con gli altri senza erigere muri.
L’epidemia ne Il giorno del giudizio

L’epidemia de Il giorno del giudizio, che sembra colpire solo bambini/e, scoppia nella comunità di Ballylack, un piccolo villaggio dell’Irlanda del Nord, nell’estate del 1993 quando è ancora in corso il lungo conflitto nordirlandese, conosciuto come The Troubles. La nuova minaccia rappresentata dalle misteriose morti dei bambini va così a colpire una comunità già turbata e stanca per il lungo conflitto che si delinea nel romanzo come un pericolo costante, mai sopito. La comunità descritta dalla scrittrice appare assuefatta ai terrori dello scontro tra Unionisti e Nazionalisti, trincerata in un’ortodossia religiosa che non lascia spazio ad alcun tipo di confronto e chiusa in cultura in cui la donna viene considerata incapace di contribuire alla vita sociale, di partecipare attivamente ai riti religiosi, e di far sentire la sua voce. È in questo contesto che il primo bambino a Ballylack si ammala gravemente andandosene via in pochi giorni. Sulle prime la comunità giustifica l’accaduto alla luce della salute cagionevole del ragazzo ma dopo la seconda e la terza vittima appare chiaro che il problema sia destinato a ripetersi. Oltre alle preghiere per i/le bambini/e colpiti/e, ripetute quasi senza sosta, iniziano a farsi largo anche i pettegolezzi: le storie dei tragici trapassi vengono condite ogni volta di nuovi dettagli utili a scioccare l’interlocutore/interlocrutrice, le congetture più disparate si diffondono per il villaggio e la ricerca di un presunto colpevole diviene fuori controllo.
Il linguaggio dell’epidemia
Per via degli accadimenti degli ultimi due anni e mezzo siamo stati/e abituati/e a sentire e spesso a usare il “linguaggio dell’epidemia”: contagio, quarantena, contenimento e isolamento fanno parte di una terminologia che ha pervaso la nostra sfera privata e ha cambiato il nostro modo di vivere in collettività. Uno degli aspetti interessanti del linguaggio usato da Jan Carson è che ci fa respirare la paura e lo spavento connaturati alla consapevolezza di una malattia che si diffonde senza usare le parole consuete per rappresentarli. Il termine “contagio” non viene mai usato, al massimo l’autrice ricorre all’aggettivo “contagioso/a”, “isolamento” viene inserito nel testo una sola volta e la parola “quarantena” non viene mai scritta. Pur senza utilizzare il linguaggio tipico per raccontarla, la scrittrice riesce comunque a catturare tutti gli aspetti più spaventosi e crudi di un’epidemia. Il/La lettore/lettrice sente aumentare l’ansia e l’angoscia, vive la disperazione di un villaggio totalmente sconvolto e prova il senso di impotenza che si sperimenta di fronte a un corpo travolto dalla sofferenza e riesce a farlo grazie alla sapienza letteraria dell’autrice.
Hannah: le paure e i dubbi della protagonista
La protagonista de Il giorno del giudizio è Hannah Adger, cresciuta anche lei a Bellylack in una famiglia di evangelici/evangeliche carismatici/carismatiche in cui gran parte dei giochi e dei piaceri cui una bambina di 11 anni come lei potrebbe ambire vengono proibiti e bollati come peccati:
Noi siamo evangelici carismatici, che vuol dire che crediamo nella salvezza e nell’inferno, in Gesù e anche nello Spirito Santo. Nella nostra chiesa le donne portano il cappello. Usiamo la Bibbia con le parole antiche ma cantiamo inni moderni seguendo il testo sul proiettore in alto. Parliamo in lingue strane e facciamo preghiere speciali con le mani. Non crediamo nel cinema e nel chewing-gum (questa del chewing-gum secondo me è una cosa solo dei miei genitori, perché ho visto quelli della Compagnia Giovanile che facevano le bolle con la gomma dietro la Minor Hall).
Hannah cresce assorbendo le convinzioni religiose dei suoi genitori e la loro concezione dei ruoli all’interno della famiglia e della società. Nonostante il rammarico di non poter andare al cinema, non poter vedere in tv gli stessi programmi seguiti dai suoi compagni e non potersi travestire per Halloween, la bambina sembra accettare come un fatto ineluttabile una lunga serie di proibizioni; in fondo è solo il modo, escogitato dai suoi genitori, per evitare “di aprire spiragli” a Satana. Lo scoppio dell’epidemia però fa scattare in lei qualcosa: veder morire i/le compagni/e e non sapere quando arriverà il suo turno la getta nel dubbio e la induce a porsi domande sul senso che, in una situazione così drammatica, possano avere quelle preghiere, quei divieti e quei digiuni ripetuti:
Hannah ha il cervello in fiamme. Stamattina la chiesa le sembra minuscola. Gli uomini col loro completo scuro, severi. Le donne coi loro buffi cappelli. Gli inni all’antica con quelle parole fuori moda, diversissime dalla musica che ascoltano i suoi compagni di scuola. Le preghiere, il digiuno. Soprattutto il digiuno. Le sembra una scemenza pensare di poter attirare l’attenzione di Dio saltando i Coco Pops della colazione. Hannah sa che al pastore Bill verrebbe una crisi isterica se dicesse una qualsiasi di queste cose a voce alta.
Bisogna poi sottolineare che ad Hanna, nel corso dell’epidemia, tocca un ruolo d’eccezione: diviene infatti una sorta di confidente per i/le compagni/e deceduti/e che di volta in volta vanno a trovarla cercando conforto, chiedendo informazioni sulla vita che hanno lasciato, aiutandola a superare la paura o a capire meglio gli sviluppi dell’epidemia. I suoi amici appaiono diversi dopo la morte: oltre ad essere cresciuti e ad aver cambiato aspetto, molti di loro hanno acquisito maggiore sicurezza, appaiono dotati di una certa spregiudicatezza, e sembrano tutti/e molto critici/critiche e arrabbiati/e con i loro genitori.

Gli adulti di Ballylack
Gli/Le adulti/e di Ballylack in effetti hanno molto di cui essere rimproverati/e: chi non riesce a dimostrare il proprio affetto nei confronti dei/delle figli/e, chi si chiude in un conservatorismo religioso che non ammette repliche, chi non riesce a domare la sua rabbia o le sue paure. Gli/Le adulti/e di Ballylack non sembrano impreparati/e solo alla gestione dell’epidemia – come sarebbe comprensibile – ma anche al loro ruolo genitoriale del quale non riescono fino in fondo a comprendere limiti e doveri. Così i/le bambini/e di Ballylack, una volta deceduti/e, manifestano tutta la loro disapprovazione nei confronti dei loro padri e delle loro madri, dimostrando un distacco tale da rasentare il cinismo. In fondo, sono proprio loro – piccoli/e, indifesi/e e spaventati/e – ad aver pagato tutta l’incompetenza e l’incapacità dei genitori e in generale di chi avrebbe dovuto proteggerli.
Il ruolo della donna ne Il giorno del giudizio
Nel corso del romanzo, al lettore e alla lettrice appare evidente che il villaggio di Bellylack sia abitato da una comunità in cui le donne ricoprono ruoli marginali e vivono per lo più lo spazio della casa, considerate incapaci di partecipare in modo attivo nei processi decisionali in famiglia e nella collettività. Il ruolo subordinato della donna viene introiettato dai/dalle bambini/e della comunità che danno per scontato l’esclusione dalla vita lavorativa e da alcuni ambiti della vita sociale e religiosa. Riporto di seguito tre esempi:
La mamma faceva l’infermiera prima di avere Hannah. Prima che papà la obbligasse a mollare il lavoro per restare a casa
Hannah si domanda se anche le signore abbiano una voce da preghiera. Ma probabilmente non lo scoprirà mai, perché alle donne non è permesso pregare in chiesa. O predicare. Però possono stare nel coro e insegnare catechismo.
Senza un figlio e senza un marito una donna come lei non poteva esistere, in un luogo come Ballylack. Maganda ormai è venuta a patti con la sua nuova strana vita. Alla fine, è meglio essere la madre o la moglie di qualcuno, piuttosto che non essere niente.
La capacità di Jan Carson ne Il giorno del giudizio è quella di far scattare nel/nella lettore/lettrice un sentimento di ribellione nei confronti di questa marginalizzazione, un senso di ingiustizia che si tramuta nella voglia di vedere il sistema sociale di Bellylack ribaltarsi completamente, facendo riprendere alle donne il posto che spetta loro.
I temi principali
Jan Carson dà la possibilità al/alla lettore/lettrice di riflettere su una molteplicità di temi: dalle problematiche di un’ortodossia religiosa portata agli estremi, al ruolo della donna, alla gestione di un’epidemia da parte di una comunità, fino ai dubbi – sani e leciti – della giovinezza. Tutto questo lo consentono anche lo stile e il linguaggio che si adattano perfettamente a ciascun personaggio/a sul/sulla quale la scrittrice si focalizza; riusciamo così a comprenderne i moti interiori, a capirne il carattere e a intuirne la possibile evoluzione. L’uso del corsivo usato per sottolineare i pensieri dei/delle personaggio/a, alcune frasi pronunciate e alcune domande interiori aiuta poi il/la lettore/lettrice a orientarsi tra dettagli apparentemente innocui, a muoversi nel testo. Un altro elemento interessante è la riflessione sull’inclusività all’interno della comunità di Ballylack che emerge soprattutto nei capitoli dedicati alla famiglia di Alan e Maganda. Quanto può essere destabilizzante per una persona non essere più chiamata con il proprio nome? Maganda, originaria delle Filippine, diventa Megan perché la comunità di Bellylack che in un certo senso si rifiuta di pronunciare correttamente il suo nome e così rinuncia anche all’opportunità di riconoscerla nella sua interezza. Insomma, ne Il giorno del giudizio, Jan Carson riesce a guidare i/le lettore/lettrice all’interno di un intero villaggio, nella psiche dei/delle suoi/sue abitanti, dando vita ad un romanzo in cui realtà e fantasia si mescolano alla perfezione.