Tommaso Pincio vive e lavora a Roma dedicandosi alla scrittura e alla pittura.  La sua produzione letteraria è stata ricchissima e comprende libri come M. (Cronopio, 1999), Un amore dell’altro mondo (Einaudi, 2002), Hotel a zero stelle (Laterza, 2011), Scrissi d’arte (L’orma editore, 2015) e Il dono di saper vivere (Einaudi, 2018). È anche autore di Panorama (NN Editore), testo di culto riproposto recentemente su Radiotre in forma di audiolibro.

Tommaso Pincio ha tradotto, inoltre, autori di fama internazionale come Kerouac, Dick, Fitzgerald, Updike e Orwell. Il suo ultimo libro, Diario di un’estate marziana, pubblicato da Giulio Perrone Editore, esce il 22 novembre.

Diario di un’estate marziana-la continuità tra l’interno della sale e l’esterno delle strade

L’ultimo libro di Tommaso Pincio, Diario di un’estate marziana, ha tre protagonisti indiscussi che si alternano e si mescolano nelle pagine di questo libro/diario: Ennio Flaiano, Roma e l’estate. Tre attori in scena che dialogano, si amano e lottano. C’è la Roma dei caffè e dei colori caldi, la Roma delle passeggiate notturne e la Roma in cui Flaiano trascorse quasi tutta la vita, la città che un tempo amò e che lo deluse. C’è l’estate, la stagione preferita di Flaiano a tal punto da definirla “tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla”. Infine, c’è Flaiano che incarna insieme una Roma che non c’è più e la bellezza dell’estate che consiste “nella sensazione che molte cose, se non tutte, siano già accadute e a noi non spetti che di contemplarne i resti”. I resti, i ruderi, le rovine, il passato costellano tutto il testo, coperti di una nostalgia che intenerisce e allo stesso tempo condanna senza appello. L’immagine forse più evidente di questo senso di perdita e di nostalgia Pincio ce la offre parlandoci della scomparsa di “quella continuità tra l’interno delle sale [cinematografiche] e l’esterno delle strade”, di cui anche Flaiano scrisse. Nelle sale cinematografiche di una volta, che a Roma erano centinaia, si poteva andare anche all’ultimo momento, a film iniziato: la gente ci andava “perché pioveva, perché aveva un’ora da riempire, perché non sapeva che fare o perché voleva fare qualcosa”. Le sale, come i caffè, erano luoghi di incontro, di passaggio. Nella Roma degli anni ’50-60 il film trasmesso non era essenziale, l’importante era andare al cinema. “Un tempo così – in cui si andava semplicemente al cinema – c’è stato” ed è passato.    

Ennio Flaiano: il vincitore riluttante

Questa nostalgia, questa malinconia di un tempo che è andato perduto e la mortificazione che ne è conseguita accompagneranno Flaiano tutta la vita, rivelandosi nelle sue scelte lavorative, nei suoi scritti e nel rapporto con sé stesso. Come specifica Pincio, “mortificazione” è un termine che lo stesso Flaiano accosta a “successo”, quasi in modo ossimorico, ricordando la vittoria ottenuta al Premio Strega alla sua prima edizione nel 1947. Flaiano parla infatti di “mortificazione del successo” rendendo evidente il sentimento di disagio, il senso di inadeguatezza provato alla vigilia di un riconoscimento così importante, sentito quasi come immeritato. Pincio però ritrova il termine anche in un’altra occorrenza, precisamente in un articolo scritto nel 1969 in memoria di Pannunzio, accostato questa volta a “gli anni della giovinezza”, generando di nuovo un contrasto, un cortocircuito. Ci chiediamo forse come possano il successo e la giovinezza diventare mortificanti e le risposte – visto che una non può in alcun modo bastare – vanno ricercate in tutto l’arco della sua storia, a partire dall’infanzia “piena di esili”, “l’unico luogo che non riusciamo mai ad abbandonare”. Ritorna l’immagine di un bambino che a sette anni sapeva scrivere un telegramma (secondo una descrizione che Flaiano diede di sé stesso), e che a trentasette anni ottenne il primo passaporto. La rappresentazione iconica che ce ne dà Pincio è di un “vincitore riluttante”, che accolse il premio esitando, che portò sulle spalle una giovinezza negata dal fascismo e che non seguì poi del tutto la sua vocazione per la scrittura, preferendo dedicarsi al cinema.

Dettaglio della copertina realizzata dall’Art Director Claudia Intino

Il rapporto con Federico Fellini

La Roma in cui visse Ennio Flaiano è anche la città in cui nacque il rapporto di amicizia e di lavoro con Fellini, con cui collaborò nella sceneggiatura di alcuni dei suoi film più importanti: La strada, La dolce vita e . In Diario di un’estate marziana più volte si rimanda al lavoro che i due fecero insieme per realizzare La dolce vita e soprattutto all’apporto che diede Flaiano specialmente in termini di idee. Non è un caso che Pincio abbia scelto di concentrarsi su questo film del 1960, dove è rappresentata una Roma di un’epoca ormai lontana, spensierata, vitale e colta da “un improvviso benessere”: una Roma abitata “dalla società del caffè”. Il film lo scriveranno in estate Fellini, Flaiano e Pinelli nella villa di Fregene, appartenuta a Fellini. Di uno dei punti di ritrovo più rappresentativi della mondanità e de La dolce vita, Via Veneto, Flaiano sottolineò spesso la decadenza, i cambiamenti cui era irrimediabilmente andata incontro: “È difficile ormai raggiungere via Veneto; ed è anche inutile, sembra un’altra città”. Appare qui, l’aggettivo “inutile” che Pincio indica come ricorrente in moltissimi scritti e appunti dello scrittore. Un aggettivo che nel suo sembrare innocuo contiene in sé il seme della condanna. Questa breve citazione di Flaiano del 1961 riportata da Pincio ci dice in realtà moltissimo; ci racconta quanto già intorno alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60, Roma stesse cambiando volto, perdendo la sua atmosfera paesana, la sua capacità di riunire e lasciar incontrare.

Flaiano, “un uomo molto segreto”

Il titolo di questo paragrafo è ripreso da una descrizione fatta da Anna Proclemer a proposito di Ennio Flaiano durante un’intervista rilasciata a Nino Bizzarri, di cui Pincio ci riporta questa breve, significativa parte. Nonostante la vita pubblica così movimentata e intensa, gli incontri con il gruppo storico di via Veneto e le conversazioni con i suoi numerosi amici, la vita privata di Flaiano per la maggior parte di loro restò segreta, celata. Alcune delle persone a lui vicine non sapevano avesse una figlia e avevano visto raramente la moglie: “Tullio Pinelli, che pure aveva lavorato con lui a più di una sceneggiatura, lo definisce «un grande amico di cui non so quasi nulla», una persona «chiusissima» con la quale ebbe una sola conversazione intima”. Insomma, la sua vita familiare, privata, restava tale, conservando quella profonda intimità, quella purezza e quei silenzi che non avrebbe mai compromesso. In Diario di un’estate marziana e nel suo racconto di quegli anni, è evidente la necessità di mettere in evidenza questa dicotomia tra pubblico e privato, questa divisione tra la vita in società e la vita intima, “chiusissima”. E non si può evitare di connettere questa riflessione con ciò che sta accadendo oggi, con il mondo che sta cambiando e con la sempre meno marcata cesura tra pubblico e privato:

“Ora io mi domando: ci sono ancora silenzi di questo tipo nel mondo, nel tempo in cui viviamo? Probabilmente sì. Sicuramente sì. Qualcuno, in questo stesso momento, avrà aperto un suo diario intimo e starà tracciando il suo cerchio di silenzio senza che noi lo sappiamo”.