Collaboratore di riviste e quotidiani, Luigi La Rosa ha curato per Rizzoli-Bur numerosi volumi e raccolte saggistiche. Solo a Parigi e non altrove e Quel nome è amore sono apparsi per i tipi di Ad est dell’equatore. Si è occupato, inoltre, della sezione letteraria della guida verde di Parigi di Touring Club. Per l’editore Piemme ha pubblicato L’uomo senza inverno (finalista Premio Minerva) e Nel furor delle tempeste (Premio Elmo). Il 20 ottobre 2022 è uscito per la Giulio Perrone Editore il suo ultimo libro, A Parigi con Marcel Proust. Di seguito potete leggere l’intervista all’autore che ci racconta la sua passione per Proust e il lavoro di ricerca e di studio svolto sulla sua vita e le sue opere:

Definisci Proust un mago dei ricordi. Da dove veniva, secondo te, questa sua capacità di trasformarli in una fonte inesauribile per la sua scrittura? Usando le tue parole: come è riuscito lo scrittore a trasformare tanta bellezza interiore in pagina scritta?

“Proust dev’essere stato un bambino innamorato della vita, dei suoi colori, della sua bellezza. E soprattutto: un grande osservatore che, nel bene e nel male, ha saputo far tesoro di quello che l’infanzia gli prospettava. Ebbene, attraverso l’operazione della scrittura, Proust ha effettuato il più imponente recupero del ventesimo secolo. Ha rivestito quei bagliori lontani – quelle ombre vaghe e frastagliate – dell’innocenza che conferisce alle cose la parola scritta. La parola che diviene letteratura”.

Dal testo che hai scritto, emerge una passione profonda per i capolavori di Marcel Proust e un vivissimo interesse per la sua vita e i luoghi che l’hanno segnata. Quando è nato questo amore per lo scrittore e in che modo la sua scoperta ha cambiato la tua vita?

“Proust l’ho scoperto durante uno dei miei primi soggiorni parigini. A dire il vero è stato l’esatto contrario: è stata Parigi – la città – a portarmi alla biografia dello scrittore e alla sua imponente opera. Vedere gli spazi nei quali questa esistenza eccezionale si era consumata mi ha dato grandissima emozione. È stato il primo stimolo per leggere, per indagare, per conoscere più a fondo l’uomo e la sua straordinaria esperienza. Per innamorarmi una volta per tutte di Marcel Proust”.

Nel tuo libro, le parti interamente dedicate a Marcel Proust e ai luoghi che ha attraversato si alternano a sezioni dedicate alla tua ricerca e al tuo studio e alle tue esperienze parigine. Le due parti però rimangono in qualche modo intrecciate, tanto che a pagina 38 affermi che la Recherche corrisponde per certi versi a una ricerca di te stesso. In che modo questo progetto e lo studio della geografia e della vita di Marcel Proust ti ha aiutato nella tua personale ricerca?

“Leggere Proust mi ha indicato un modo nuovo per guardare la realtà. Ripercorrerne le tappe biografiche, esistenziali, tramite i luoghi della vita vera ha dato consistenza e concretezza materica al sogno. Pian piano mi sono appassionato al più grande autore francese di tutti i tempi – per me Proust lo è -, ho cercato di comprendere il mistero della sua anima, della sua sensibilità tormentata, della maniera in cui la sua penna restituisce il mondo. Da lui ho preso a interrogare il passato, la memoria, il vissuto che si fa ricordo e narrazione. Da lui ho anche tratto riflessioni importanti sull’arte e sul senso del bello. Diciamo che Proust rimane uno dei grandi – se non il principale – maestri che io abbia avuto”.

A Parigi con Marcel Proust-intervista a Luigi La Rosa-dettaglio di copertina
Dettaglio della copertina realizzata dall’Art Director Claudia Intino

Nel corso del tuo libro è evidente quanto il rapporto di Proust con la madre abbia segnato il suo percorso interiore e, quindi, in qualche modo la sua scrittura. La voce della madre emerge in modo costante da questo corsivo che incontriamo spesso nel testo: Non avere paura, bambino mio, la mamma non ti lascia. Il loro legame ingestibile alternava la mancanza alla simbiosi, diventando quasi ossessivo. Come è riuscito, secondo te, lo scrittore a non soccombere a questo complicato rapporto?

“Solo tramite la scrittura, come facciamo tutti, l’unico modo per non precipitare negli abissi delle paure e nei gorghi delle nevrosi. La parola riscatta questo “orfano inconsolabile” dandogli finalmente spazi di libertà, di meditazione, soprattutto di elaborazione del dolore. La scrittura che risana le cicatrici, che asciuga le lacrime dalle ciglia, che consente di riposizionarsi daccapo nell’universo. Ma un universo monco, che ha perduto l’amore primigenio, che lo priva quasi di una voce. Il miracolo è senza dubbio restituito dal romanzo, nel quale lo scrittore si rifugia come per non soccombere. Non lo salverà la ricchezza, né gli amori provvisori della sua breve vita. Lo salverà la scrittura!”.

Se potessi incontrare oggi Marcel Proust, dove lo porteresti e cosa gli chiederesti?

“Credo che lo porterei in giro per Parigi, questa città che di giorno in giorno non finisce di stupirmi, di commuovermi, di toccarmi dentro. Lo ricondurrei al giardino del Lussemburgo – il parco dell’infanzia – o al Parc Monceau, un luogo che io amo molto e dove anche Proust ha vissuto dei momenti felici. Poi andremmo fino agli Champs-Élysées, in attesa di Gilberte. Gli chiederei del mistero della vita e del tempo, cui è legata tutta la sua opera. Gli domanderei quale sia il senso dell’eterno interrogarci, dell’infinito cercare. Ma so già che lui non avrebbe alcuna risposta”.